Ombre dal Passato
Estratto esclusivo da
© 2015 Luca Rossi
L'Erede della Luce di Luca Rossi. Disponibile su Amazon Kindle a 99 centesimi: bit.ly/eredeluce |
Un raggio di sole le accarezzò il
viso. Lil sollevò le palpebre, guardandosi attorno. Si trovava su un comodo
materasso di piume incorniciato dalla struttura di un letto in legno scuro. La
stanza era piccola e povera, arredata solo con una sedia, un armadio e un
tavolino con una boccetta d’inchiostro, dei pennini e una pergamena. È
la stanza di un uomo, pensò tra sé.
All’idea di trovarsi per la prima volta in vita sua fuori
dalla sua amata isola, le venne da sorridere. Ma dove sono? E dov’è Miril?
Tentò di tirarsi su a sedere, ma un’insopportabile fitta
sopra il seno la fece urlare di dolore e quasi perdere i sensi.
Mentre cercava di riprendersi, udì dei passi provenienti da
dietro la porta, che si spalancò su un uomo anziano, calvo ma con la barba
corta e brizzolata, vestito di un’armatura in pelle ormai consumata con una
spada sul fianco. Lo seguiva un ragazzo più giovane, dal viso tondo e pieno, di
corporatura robusta e con un’armatura simile a quella del suo compagno, anche
se tenuta meglio.
“Te l’ho detto che si stava svegliando,” disse il vecchio.
L’altro non rispose, limitandosi a squadrare da capo a piedi
Lil, la quale, sotto quello sguardo, si sentì come nuda.
Dopo un attento esame, il giovane replicò: “Sì, ora è
decisamente sveglia! E con questi occhi, è ancora più interessante la nostra
prigioniera…”
Le si avvicinò, continuando a studiarla con interesse. Una
volta di fronte, le prese il mento con la mano, facendole ruotare il viso prima
da una parte e poi dall’altra.
“Che begli occhi scuri, la fanciulla!” commentò.
Dietro di lui, l’anziano ghignò: “Ison, il capitano ha
ordinato di non toccarla fino al suo arrivo…”
Il giovane abbassò il lenzuolo che ricopriva Lil, che
indossava ancora la tunica rituale. La fanciulla si rese conto solo allora che
la macchia di sangue era scomparsa e la lacerazione prodotta dalla lama del
coltello di Bashinoir era stata cucita. Qualcuno doveva averla spogliata e poi
rivestita. Si augurò che non fosse opera di uno di quei due.
“Sì, ma il capitano non è qui.”
Lil avrebbe voluto gridare per chiedere aiuto, ma a quale
scopo? L’unica che avrebbe potuto soccorrerla era Miril, ma non aveva la più
pallida idea di dove potesse essere in quel momento. Avrebbe dovuto affrontare
quel difficile viaggio con Bashinoir e la sacerdotessa, e invece lui era morto
e lei sparita.
“Perché non chiudi la porta, Nardos?” propose Ison.
L’anziano tornò sui propri passi, con un’andatura
leggermente ciondolante. Lil si accorse della protuberanza cresciuta sui
pantaloni del ragazzo, che continuava a tenerle stretto il mento.
“Finalmente si è svegliata, la nostra inferma!” esclamò una
donna, irrompendo nella stanza con uno spintone a Nardos. “Mi sembrava di aver
richiesto espressamente di essere chiamata non appena avesse aperto gli occhi e
invece vi trovo qui, tutti e due con la bava alla bocca, razza di cialtroni!”
La nuova venuta si diresse con passo deciso verso il letto.
Era magra, alta, con le guance scavate e i capelli lunghi e lisci. Indossava un
abito marrone di fattura mediocre. Si fece strada verso Lil, spingendo di lato
anche Ison.
“Bada, donna, che stai oltrepassando il limite,” disse
questi, posando una mano sull’elsa della spada.
“Ah sì? Vuoi usare la spada su una guaritrice, sottospecie
di deficiente mentecatto? Poi glielo spieghi tu al nostro bel capitano? Ora
via… fuori di qui… tutti e due!”
Ison la squadrò, torvo in viso, senza muoversi, con la mano
ancora sull’impugnatura.
“Fuori!” urlò di nuovo lei. “Ve ne dovete andare. Via, via, sciò!” continuò, spingendolo verso
l’uscita.
Il giovane sollevò una mano per schiaffeggiarla, ma la
guaritrice lo sfidò: “Fallo, e ne risponderai al capitano!”
Ison lanciò un’occhiataccia a Lil, lasciando intendere che
presto sarebbe tornato, poi si girò e uscì dalla stanza, seguito da Nardos.
La donna sbatté la porta, si diresse all’armadio e aprì
un’anta. Iniziò a prendere alcune boccette e le portò sul letto accanto a Lil.
“Grazie,” disse lei.
“Oh… non mi ringraziare. Torneranno. Sono giorni che
aspettano che ti risvegli. Il capitano ha dovuto farti ricoverare nella sua
stanza, altrimenti ti avrebbero stuprato anche da incosciente.”
“Chi sono quei due?”
La donna afferrò bruscamente Lil per le spalle e la tirò a
sé. Lei strinse i denti per il dolore, ma evitò di lamentarsi. La guaritrice
sciolse i nodi dei laccetti dietro il collo e le abbassò la veste fin sotto il
seno.
Poi aprì una delle boccette e con due dita prese
dell’unguento, che iniziò a spargere delicatamente sulla ferita.
“La domanda non è chi sono loro, ma chi sei tu! Dicono che
tu e l’altra siete comparse dal nulla sulla collina. Ognuno racconta una storia
diversa: c’è chi giura di avervi visto salire da sottoterra, chi sostiene che
siete calate dal cielo; alcuni raccontano che c’erano altre decine di persone,
armate di coltello e coperte di sangue, che poi sono scomparse, altri che
eravate seguite da ogni genere di esseri deformi.”
Parlando, la donna scrutava Lil in viso, come se cercasse
una conferma su quale versione fosse quella corretta.
“Questa ferita è stata la tua fortuna! Il capitano non ha
creduto a una sola parola di quei racconti, ma visto tutto il sangue che
perdevi e che eri praticamente morta, non ha voluto mandarti a Palazzo con
quell’altra.”
Miril? La sacerdotessa
non è più qui?
“Con lei ormai avranno sicuramente imbastito uno di quei
roghi con cui il re ama arrostire le streghe!”
Oh no… non possono
aver fatto una cosa simile! Lil si sforzò di non lasciare trasparire le
proprie emozioni di fronte allo sguardo perfido e indagatore della donna.
“Purtroppo, ragazza mia, dovrò dire al capitano che ora sei
in grado di viaggiare.”
Perché è così
compiaciuta? Vuole che finisca anch’io tra le fiamme?
Da dietro la porta chiusa si sentiva il chiacchiericcio
delle due guardie, finché non si arrestò all’improvviso quando si udì una terza
voce, più alta e profonda.
“Ecco il nostro bel capitano!” La donna sorrise soddisfatta.
“Quanto tempo sono rimasta incosciente?” le chiese Lil.
“Oh… Saranno almeno due settimane, quasi tre.”
La giovane strabuzzò gli occhi. Due settimane! Non c’è più tempo. Se non mi libero, sarà stato tutto
inutile.
“Perché? Avevi degli impegni, mia cara?” Gli occhi maliziosi
della guaritrice continuavano a esaminarla mentre le mani esperte si muovevano
rapide sulla ferita.
“No, è che…”
La porta si spalancò di nuovo.
“Siete sveglia!”
Il capitano indossava un’armatura leggera in metallo. Era
alto, magro, con occhi di un azzurro intenso. I capelli mossi pettinati
all’indietro gli lasciavano scoperta l’ampia fronte.
Lil lo trovò decisamente un bell’uomo e notò che anche la
guaritrice sembrava mangiarselo con gli occhi, benché lui non la degnasse di
uno sguardo.
“Come vi sentite?” chiese a Lil.
“Abbastanza bene, vi ringrazio, anche se la ferita mi fa
ancora molto male.”
“Comunque è già in grado di viaggiare,” sentenziò la donna.
Il capitano la guardò come se si accorgesse per la prima
volta di lei.
“Come fate a dirlo? Non vedete quanto è debole, Deliar?”
“Beh, tra qualche giorno lo sarà di certo!” ribadì la
guaritrice.
“Viaggerà quando io lo riterrò opportuno. Se avete finito
con le vostre medicazioni, lasciateci!”
“Come desiderate.”
Deliar assunse un’aria offesa, rimise le boccette di
unguento nell’armadio, fece un inchino e uscì dal locale.
L’uomo avvicinò una sedia al letto e si mise a sedere.
“Vi chiedo scusa. Deliar è la miglior guaritrice di questo
villaggio, anche se non ha un bel carattere. Ma voi… Perdonatemi se vado dritto
al punto, ma i miei superiori a Palazzo mi fanno continue pressioni… Ditemi:
chi siete? Da dove venite?”
Dal futuro. Vengo dal futuro, avrebbe voluto rispondere
Lil. Cercò le parole adatte, ma non le venne in mente nulla e così rimase in
silenzio.
“Avete perso molto sangue,” la giustificò lui, “forse siete
tuttora un po’ confusa. È evidente che non vi sentite ancora bene. Presto però
dovrete dirmi qualcosa di più su di voi. La notizia della vostra comparsa si è
diffusa troppo rapidamente. Ho dovuto mandare l’altra donna a Palazzo, voi
invece non avreste retto al trasferimento e così sono riuscito a tenervi qui
con me. Però ho l’ordine di condurvi dinanzi a Sua Maestà quanto prima,
quindi…”
“Grazie,” gli disse Lil. “Siete stato molto gentile a
proteggermi. Perché l’avete fatto?”
“Ecco, io…”
Era da tempo che Lil non vedeva un simile sguardo negli
occhi di un uomo. Le vennero in mente gli anni di fidanzamento con Bashinoir e
l’assiduo corteggiamento di Anodil. Il capitano aveva trascorso quelle
settimane a proteggerla e a vegliare su di lei?
“Sapete dirmi cosa è successo alla donna che era con me?”
“Era vostra amica?” si informò l’uomo.
La giovane annuì.
“Mi dispiace, ma temo che il sovrano non l’abbia
risparmiata.”
No, Miril non può
essere morta. La sacerdotessa era tutto ciò che le rimaneva, l’unica
persona che la legasse ancora alla sua vita sull’isola. Era la sua mentore, la
sua compagna. Lil ormai era consapevole di amarla e di non poter nemmeno
immaginare un’esistenza lontana da lei. Sarebbe un giorno dovuta tornare nel
proprio tempo da sola, senza colei della quale era perdutamente innamorata?
Non riuscì a trattenere una lacrima.
“Volete restare un po’ da sola?” le chiese il capitano con
gentilezza. Lil annuì di nuovo.
Lui si alzò, rimise la sedia al suo posto e uscì dal locale.
Il vociare delle due guardie dietro la porta si arrestò di
colpo.
Miril. Non puoi essere morta. Ti prego. Eppure, se
fosse stata viva, avrebbe dovuto percepirla.
Si concentrò sui propri poteri telepatici, ma dovette
arrendersi subito: si sentiva troppo debole e confusa.
Tentò invano più e più volte, finché, pensando ancora alla
sacerdotessa, cadde in un sonno tormentato.
Si svegliò di soprassalto, spaventata da forti urla
provenienti dall’esterno.
Con immenso sforzo cercò di tirarsi su a sedere. Provò a
reggersi sulle gambe, ma la testa iniziò immediatamente a girarle. Appoggiando
i palmi delle mani prima sul materasso e poi sul legno ai piedi del letto,
riuscì comunque ad avvicinarsi alla finestra che si trovava lì accanto.
Vide sulla strada in lontananza degli uomini dietro un
cumulo improvvisato di carretti e legname. Alcuni brandivano delle falci, altri
pali e forconi. A una cinquantina di metri da loro, vicino alla finestra di
Lil, si trovava una mezza dozzina di arcieri, seguiti a ruota dal capitano e da
diversi soldati armati di spade. Lil riconobbe una delle sue due guardie, la
più giovane.
Un rumore alle sue spalle la fece sussultare.
“Ah… di nuovo sveglia, eh?” Nardos sogghignava sulla soglia
della stanza.
L’anziano si avvicinò alla finestra. “Questa volta sembrano
proprio incazzati. Se il capitano non tira fuori le palle, siamo spacciati.”
L’alito gli puzzava di alcool. Mentre parlava, con lo
sguardo risalì dai piedi fino al seno di Lil.
È la rivolta dei miei
avi, quella per la quale sono stati puniti dal re. Lil sarebbe voluta
intervenire, ma sapeva che qualsiasi azione le era preclusa. “Il nostro compito
è solo porre rimedio alle modifiche che sono state apportate al ramo del
tempo,” l’aveva ammonita Miril. “Ma dovremo stare attente a non interferire in
alcun modo. Assisteremo all’eccidio dei nostri avi, ma non potremo
assolutamente alterare il corso degli eventi.” Udendo le raccomandazioni della
sacerdotessa, Lil ne aveva compreso il senso, ma adesso, vivere quella
situazione in prima persona era tutt’altra cosa.
La folla dietro le barricate sembrava aumentare. Il capitano
urlava qualcosa all’indirizzo dei rivoltosi. Sembrava che stesse dando un
ultimatum, anche se Lil non era in grado di distinguerne le parole a causa del
baccano.
Alcuni ribelli superarono le protezioni e si gettarono verso
gli arcieri. Il capitano urlò un comando secco e le frecce scoccarono dagli
archi tesi. Quattro uomini caddero, ma la folla inferocita avanzò ugualmente,
spingendo di lato le cianfrusaglie dietro le quali aveva trovato riparo. Gli
arcieri scoccarono un’altra raffica di frecce. Crollarono al suolo altri cinque
uomini, subito calpestati dai propri compagni, che proseguirono imperterriti.
Il capitano e i soldati sguainarono le spade. Attesero che
gli arcieri lanciassero altre due raffiche di frecce e infine, urlando parole
di incoraggiamento, caricarono.
Sono troppo pochi, si
rese subito conto Lil. Non ce la faranno
mai. Era una sensazione strana, ma non riusciva a non provare pena per
entrambe le parti.
Dopo essere impattati sulla folla inferocita, i soldati si
disposero in cerchio. Per quanto mietessero vittime a un ritmo impressionante,
dietro a ogni nemico che uccidevano se ne presentava immediatamente un altro.
Due soldati caddero, uno con il collo trapassato da un forcone, l’altro con la
pancia sventrata da una falce.
Mentre Lil guardava la scena con gli occhi sbarrati, sentì
una mano sul sedere. Le salì il sangue al cervello e girandosi verso Nardos, lo
schiaffeggiò con forza. Questi la spinse in malo modo sul letto. Cadendo, Lil
gli assestò un calcio che gli fece perdere l’equilibrio mandandolo gambe
all’aria.
La giovane avvertì un intenso dolore alla ferita sopra il
seno. “Non mi toccare,” intimò alla guardia, che già si stava rialzando.
“Altrimenti?” la sbeffeggiò lui, asciugandosi un rivolo di
saliva che gli colava dalla bocca.
“Il capitano…” accennò lei.
L’uomo scoppiò a ridere, facendosi sempre più vicino. “Il
capitano è ormai spacciato, come lo siamo tu e io. Non vuoi divertirti un po’,
prima che vengano a prenderci?”
Lil si guardò intorno ma non c’era nulla che potesse usare
come arma.
Si alzò e tornò verso la finestra, gridando per chiedere
aiuto. Fuori, la situazione era ulteriormente peggiorata. Arcieri e soldati
erano ormai sommersi dalla folla. Solo pochi, incluso il capitano, continuavano
valorosamente a combattere.
La giovane urlò con tutto il fiato rimasto in gola.
“Aiutatemi, vi prego!”
Sentì la mano di Nardos salirle tra le cosce. Percepì la
puzza del suo fiato mentre con la lingua le leccava il collo. Cercò di
scansarsi di lato, colpendolo con il gomito alzato.
“Aiutatemi, vi scongiuro!” gridò di nuovo. Si voltò verso il
suo aguzzino, che ora si tastava con una mano il naso sanguinante.
“Brutta puttana,” la insultò Nardos, avanzando con passo
incerto.
Lil si girò verso la strada e ripeté per la terza volta la
sua disperata richiesta di aiuto.
Le parve di notare in lontananza il corpo di Ison, a terra,
calpestato dai piedi della folla inferocita. Il capitano era l’unico che ancora
resisteva, anche se il sangue gli sgorgava dalle numerose ferite al corpo e al
viso. Lil vide una falce colpirlo in piena faccia, tagliandogli di netto la
guancia. Poi una pala lo colpì da dietro, sulla nuca. Lui si girò per
difendersi, ma proprio in quel momento un forcone gli trapassò la schiena
all’altezza del cuore. Il capitano cadde a terra e Lil lo osservò scomparire
tra la selva di teste.
La giovane gridò ancora, più forte che poté, fino a
richiamare l’attenzione di alcuni uomini che stavano avanzando verso la casa.
Nardos, prendendola per la vita, la allontanò dalla finestra
e la scaraventò sul letto. Aveva gli occhi iniettati di sangue. Sfilò la spada
dalla fodera. “Se non vuoi farti scopare da viva, ti prenderò da morta!”
Alzò l’arma su di lei, abbassandola di scatto verso il
materasso. Lil si scansò di lato, riuscendo a sfuggire al colpo. La lama si
infilò nel legno della struttura come fosse burro. Mentre Nardos cercava di
liberarla, la giovane, con il corpo in fiamme per il dolore, si lanciò verso la
porta. L’uomo però fu più veloce e la colpì con il pugno sul collo. Lil cadde
in avanti, sbattendo con il capo sullo stipite. La guardia si avventò su di
lei.
Improvvisamente la ragazza udì una porta spalancarsi e un
vociare confuso provenire dall’altra stanza. Batté con il pugno sul legno e
urlò: “Sono qui! Aiutatemi!”
Nel locale entrò la guaritrice seguita da due uomini,
entrambi armati di un forcone.
“Eccola qui. Ve l’avevo detto che l’avreste trovata ancora
in questa casa. E c’è anche quell’infame di Nardos.”
I due individui passarono oltre Lil, ancora a terra.
Colpirono ripetutamente la guardia all’altezza del ventre, del viso e del
cuore. Nardos crollò a terra.
I miei avi sono venuti
a salvarmi. Lil si chiese ancora una volta se avrebbe dovuto avvertirli in
qualche modo del destino crudele che li attendeva. Come poteva permettere che
la loro rivolta finisse in un bagno di sangue, sterminati dall’esercito reale?
Non sarebbe stato meglio incoraggiarli a fuggire il più lontano possibile,
magari imbarcandosi sulle navi e prendendo la via del mare prima di essere
attaccati? Non mi crederebbero in ogni
caso. Io non sono nessuno per loro.
Tentò di alzarsi, ma dovette desistere a causa del forte
dolore al petto. Cercò con lo sguardo il viso di Deliar, in piedi al suo
fianco. La donna le rivolse un’occhiata sdegnata e si rivolse agli altri due:
“Questa è la puttana del capitano. Fateci un po’ quel che volete, ma fatela
soffrire!”
Lil sgranò gli occhi. “Ma… sei tu che mi hai guarito!”
“Ho dovuto, me l’aveva ordinato. Ma adesso, visto che lui
ormai è un cadavere insanguinato, avrai finalmente quello che ti meriti,
sgualdrina,” replicò la donna, sputandole in faccia.
A Lil vennero le lacrime agli occhi. La guaritrice si girò e
uscì.
La giovane si voltò verso i due uomini. Sono i miei avi. Io discendo da loro. Non possono farmi del male. Ma
già mentre formulava quei pensieri, si rese conto di quanto fossero ingenui.
I loro volti tradivano chiaramente le loro intenzioni. Uno
dei due aveva il viso squadrato, la mascella volitiva, il corpo basso, robusto
e tarchiato. L’altro era più alto e mingherlino, con una ferita su una guancia,
una cicatrice sull’altra e un ciuffo di capelli corvini che gli copriva metà
della fronte. Gli mancava un orecchio.
Lil comprese di essere spacciata. Non avrebbe potuto opporre
resistenza. Loro erano in due, forti e in salute, mentre lei era troppo esausta
e dolorante.
La afferrarono per le braccia e la gettarono sul bordo del
letto, dopodiché con un piede la costrinsero ad allargare le gambe. Avvertì una
mano premerle sulla nuca per tenerla ferma contro il materasso. Si sentì
risucchiare fuori dal proprio corpo.
Lil affondò in un vortice di dolore.
Vide un padre che rincasava scontroso e adirato. Sapeva che era infuriato per
il duro lavoro nei campi, insufficiente a dar da mangiare alla famiglia e a
pagare gli esosi tributi reali. Appena entrato, l’uomo, torvo in viso, si
diresse verso la stufa sulla quale la moglie stava preparando la cena. Intinse
il mestolo nella pentola ma, non appena l’ebbe portato alla bocca, lo gettò a
terra con aria disgustata. Si avventò sulla donna, picchiandola con il pretesto
che il cibo che stava cuocendo non era altro che brodaglia. Quando suo padre
salì la scala a pioli che conduceva al mezzanino, il giovane Zalnos si rifugiò
in un angolo, con le mani a protezione del capo: le cinghiate dell’uomo
riuscirono comunque a fargli sanguinare due dita e un orecchio.
Lil, sconvolta da quella visione, percepì il dolore del
ragazzino in profondità e quasi lo perdonò per quello che stava per farle.
Quando il bacino di Zalnos sbatté contro le sue natiche,
involontariamente strinse le cosce e i denti, sperando di non sentire troppo
dolore durante la penetrazione. Sul proprio sesso avvertì però solo la flebile
spinta di un pene moscio.
“Ma che cazzo stai facendo? Sei diventato un finocchio di
merda?” commentò il secondo stupratore, che le teneva ferma la testa.
“I-io,” balbettò Zalnos, “non lo so… c’è qualcosa che non va. Aspetta.”
Lil si accorse che l’uomo cercava di aiutarsi con la mano,
ma il membro era troppo ammosciato per riuscire a penetrarla.
Si sentì sollevata, ma anche profondamente in colpa. Non volevo farlo. Dovrei essere in grado di
controllare i miei poteri e invece… Sapeva di non dover usare la telepatia
per entrare nella mente delle persone. Solo perché grazie alla sua iniziazione
aveva acquisito quelle capacità, non significava che potesse abusarne. Non ho il diritto di violare i loro
pensieri. Le lezioni della sacerdotessa erano state molto chiare al
riguardo. Introdursi nei pensieri più intimi della gente era peggio che rubare.
Equivaleva a un abuso inaccettabile del proprio dono. Ma in quale altro modo si sarebbe potuta difendere? Poteva
avvertire chiaramente lo sconvolgimento del giovane, costretto a rivivere i
momenti più penosi della propria esistenza.
La pressione sulla testa si allentò.
Il secondo uomo spinse malamente Zalnos da parte. Con la
coda dell’occhio Lil vide un profondo turbamento sul viso di quest’ultimo,
mortificato e quasi in lacrime.
L’uomo alto e magro si sistemò il ciuffo sulla fronte, si
abbassò i calzoni e con entrambe le mani la prese rabbiosamente per la vita.
Non voglio… non voglio
farlo. Ma la mente di Lil fu risucchiata una seconda volta.
Delan aveva poco più di quindici anni. Giocava con sua
sorella Allais nel cortile dietro casa. D’un tratto, udì il fragore di un gran
numero di cavalli che si avvicinavano al galoppo. Si guardò intorno
freneticamente, alla ricerca di un luogo dove nascondersi, finché non individuò
la botola che portava in cantina. Prese sua sorella per mano, corse, aprì le
ante e la spinse giù per le scale, seguendola e chiudendosi la botola alle
spalle proprio mentre i cavalli entravano nel cortile. I due, terrorizzati, si
rintanarono tra le damigiane impolverate, ma dopo pochi minuti la luce del sole
illuminò a giorno la cantina. Tre soldati scesero le scale e li scoprirono subito.
“Ecco la biondina,” commentò uno di loro, avvicinandosi e
afferrando in malo modo la bambina per il polso. Lei si ribellò, ma il soldato
reagì colpendola così duramente al volto da farla sanguinare.
“Ehi,” lo ammonì il compagno, “ha detto con le buone!”
Delan si avventò sul soldato che aveva preso la sorella, ma
gli altri due lo bloccarono e lo trascinarono su verso la botola.
Il ragazzo vide Allais venire caricata sulla groppa di un
cavallo come un sacco di patate.
“E di lui che ne facciamo?” chiese il soldato alla sua
destra.
Un cavaliere alzò le spalle. Lo lasciarono andare.
Gli occhi azzurri della sorella imploravano aiuto. Il
cavaliere colpì il cavallo con gli speroni e l’animale partì al galoppo,
seguito da quelli degli altri soldati. Delan fissò quegli occhi innocenti
finché non sparirono oltre il muro della casa. Fu l’ultima volta che li vide.
Non seppe mai cosa fosse accaduto ad Allais.
Il primo volume della serie I Rami del Tempo è su Amazon Kindle, in edizione ebook e cartaceo bit.ly/branchestime |
Dietro di lei, Delan era caduto in ginocchio.
Lil si abbassò la tunica con le mani e si alzò in piedi con
cautela. I due uomini tenevano entrambi lo sguardo a terra.
Zalnos stringeva i denti. Le gettò un’occhiata carica di
odio. “È colpa tua!” urlò rabbioso, sfoderando la spada e brandendola verso di
lei.
Delan parlò come se stesse uscendo da un sogno: “Anche tu?”
chiese conferma all’amico.
Questi abbassò la spada: “Sì,” ammise.
A quel punto anche lui confessò: “Ho rivisto mia sorella
Allais… quando l’hanno portata via… è stato come essere lì.”
Zalnos girò la testa di lato, Lil si rese conto che stava
piangendo. “Mio padre… che picchiava mia madre… e poi mi prendeva a cinghiate.”
Delan si girò verso la ragazza: “Perdonateci, vi prego.” Le
si gettò ai piedi, abbracciandole i polpacci. “Perdonateci, perdonateci,”
continuò a ripetere.
Lil non sapeva cosa dire. Poco dopo anche Zalnos le si
avvicinò. Le si inchinò di fronte e le prese la mano, bagnandola con le sue
lacrime.
“Alzatevi, vi prego,” li esortò Lil.
I due si rimisero in piedi, i volti trasfigurati dalla
vergogna e dal disprezzo per se stessi.
“Grazie. Io… non so cosa abbiate fatto, ma vi ringrazio,”
balbettò Delan, sistemandosi il ciuffo.
Continua a leggere...
Nessun commento:
Posta un commento